Jojo ha dieci anni e un amico immaginario dispotico: Adolf Hitler. Nazista fanatico, col padre ‘al fronte’ a boicottare il regime e madre a casa ‘a fare quello che può’ contro il regime, è integrato nella gioventù hitleriana. Tra un’esercitazione e un lancio di granata, Jojo scopre che la madre nasconde in casa Elsa, una ragazzina ebrea che ama il disegno, le poesie di Rilke e il fidanzato partigiano. Nemici dichiarati, Elsa e Jojo sono costretti a convivere, lei per restare in vita, lui per proteggere sua madre che ama più di ogni altra cosa al mondo. Ma il ‘condizionamento’ del ragazzo svanirà progressivamente con l’amore e un’amicizia più forte dell’odio razziale.
Prendere per il naso Hitler è avere l’ultima parola. (La) parola di Taika Waititi, che firma una favola über-assurda ficcata nella Germania nazista e agita alla fine della Seconda Guerra mondiale.
Alla maniera di Charlie Chaplin, che crea l’arma più bella contro Adolf Hitler (Il grande dittatore), e di Mel Brooks, che mette in scena l’invenzione stessa del ridere parodico (The Producers – Una gaia commedia neonazista), Taika Waititi scongiura il corpo a corpo con la storia e volge in ridicolo la fascinazione estetica per il III Reich. Diversamente da loro il risultato è meno feroce del previsto, sovente esilarante ma troppo ‘carino’ per il soggetto.